La mia vita finora
La Giovinezza
Una piccola coperta bianca distesa sul pavimento del salotto di casa, una scatola blu contenente mattoncini Lego e infinite possibilità: è questo il primo ricordo nitido del bambino che fui.
Provengo da San Giovanni Rotondo, una piccola città della Puglia che si è fatta conoscere nel mondo grazie alle gesta di un uomo fatto santo, noto come Padre Pio. Le sue opere sono state un faro per molti, ma per me, l’eredità più preziosa che porto è l’insegnamento che ogni luogo, per quanto umile, può avere una luce propria.

"Viale dei 40 metri" che porta al Santuario di Padre Pio
La mia è una famiglia modesta. La casa in cui sono nato e cresciuto l’ha costruita mio nonno Michele, che di mestiere faceva il muratore. Emigrato in Francia perché al tempo offriva speranze di un lavoro migliore, utilizzava i giorni di riposo per tornare in paese e edificare la futura dimora, sognando il ritorno definitivo. Così, mattone dopo mattone, dopo più di un decennio, realizzò il suo obiettivo. Da lui imparai per primo il significato del sacrificio, del lavoro e della perseveranza. Come insegna lo storico imperatore e filosofo Marco Aurelio, ciò che si fa con sacrificio e pazienza è ciò che rimane.

Nonno e nipote "Michele Pompilio"
Nei primi anni di scuola, ero solito frequentare la parrocchia del quartiere, luogo di ritrovo per decine di ragazzi di ogni età, all’insegna dell’amicizia e della serenità. Tra i volti di quel periodo, ricordo con affetto Roberto, un uomo robusto e barbuto con un grande cuore, che dedicò la sua vita adulta alla formazione dei più giovani. Di lui mi torna spesso alla mente il sorriso bonario con cui mi rimproverava, perché ero solito sgattaiolare al momento della messa. Insegnamenti semplici, ma che hanno plasmato il mio senso di comunità e responsabilità.
Le giornate della mia infanzia scorrevano spensierate, specialmente d’estate, quando il tempo sembrava allungarsi. Era la stagione in cui tornavano le famiglie che si erano trasferite lontano, in Francia, Germania o nel Nord Italia. Io conoscevo i loro figli, li introducevo ai nostri giochi, condividendo momenti che, amo pensare, avrebbero portato con loro, come piccoli tesori.
Uno dei ricordi più dolci di quel periodo è legato a mio padre, architetto. Spesso disegnava schizzi di oggetti presenti nella nostra casa, e io e mio fratello minore facevamo a gara a indovinare di cosa si trattasse. Quei giochi erano per me una scuola di osservazione e immaginazione. Da lui ho imparato cos’è un lavoro di altissima eccellenza e cura del dettaglio. “La bellezza salverà il mondo”, scrive Dostoevskij, e mio padre con il suo lavoro mi ha insegnato che la bellezza nasce dall’attenzione e dalla passione. Suoi alcuni disegni che hanno contribuito alla nascita di questa impresa, tutt’ora in lui trovo luogo di consiglio, ricerca, confronto.

Michele, il primo da destra, con la sua famiglia
Appartengo a quella generazione che ha visto gradualmente entrare nella propria vita i telefoni, le prime chat, e la sensazione che le distanze si accorciassero. A dieci anni ricevetti il mio primo cellulare: lo usavo per scaricare canzoni e scambiare messaggi. Oggi riconosco le immense opportunità che queste tecnologie offrono, ma credo che l’equilibrio sia essenziale. Lo aveva già capito Epitteto, quando diceva che non sono le cose in sé a essere buone o cattive, ma l’uso che ne facciamo.
Penso all’evoluzione degli oggetti e al modo in cui le intuizioni cambiano il nostro vivere, di cui manifesto è proprio il mondo dell’arredo. Il plexiglass, sviluppato per applicazioni aeronautiche e automobilistiche, è diventato protagonista di tavoli, sedie e lampade. L’acciaio inox, inizialmente destinato ad applicazioni industriali e mediche, ha trovato il suo spazio nell’arredo grazie a visionari come Maria Pergay. Ogni materiale è una storia di trasformazione, un esempio di come l’ingegno umano possa reinventare il mondo.
Scherzo spesso con i miei coetanei dicendo che la nostra adolescenza è stata un fardello felice: i ritmi lenti del paese e la serenità ci hanno fatto vivere momenti di pura gioia, così intensi che tutto ciò che viene dopo sembra avere un sapore dolceamaro. Riecheggia spesso negli scritti dei grandi pensatori, in primis Seneca, il concetto che “La vera ricchezza non sta nell’avere molto, ma nel desiderare poco”, e forse, in quella semplicità, eravamo davvero ricchi.
Gli Studi Universitari
Ho sempre invidiato mio fratello, di quattro anni più giovane, per la sua sicurezza nel sapere cosa avrebbe fatto nella sua vita lavorativa. Fin dalla giovane età ha sempre desiderato e perseguito il sogno di diventare medico. Per me, è stato un esempio: vedere una persona dedicarsi con passione e perseveranza per realizzare un obiettivo è fonte di ispirazione.
Dal mio canto, non saprei dire con precisione quando decisi di intraprendere gli studi ingegneristici. Avevo sviluppato un'affinità con le materie scientifiche, credendo che dietro di esse si nascondessero le grandi verità dell'universo. Affascinato dai grandi del passato, inventori e maestri, mi incuriosiva il funzionamento del mondo. Una curiosità che non si limitava solo all'oggetto, al meccanismo, al processo, ma si estendeva anche al sistema che l'uomo ha creato intorno a sé nel corso dei secoli, tra legge ed economia.
Mi misi dunque alla ricerca di un percorso che coniugasse i miei interessi, e vidi che esisteva un corso che univa ingegneria ed economia. La decisione fu presa e partii alla volta di Bologna, timido e impaurito ma con grande fame di conoscenza e di avventura. Non c'è un motivo ben preciso che mi fece scegliere questa città; probabilmente fu un insieme di fattori: il buon nome dell'università, la posizione, e l'influenza di mia madre, che vi aveva vissuto per i suoi studi, interrotti per via del figlio in arrivo - il sottoscritto.
Molto cari mi furono quegli anni passati nella città che mi accolse e che diventò per me una seconda casa. Qui trovai qualcosa che oggi reputo più prezioso della conoscenza accademica: l'intreccio delle relazioni umane e sociali. Ebbi la fortuna di conoscere molte anime diverse tra loro, ognuna con la sua storia, i suoi ideali, e la sua visione del mondo. Coltivai molte amicizie, che restano salde nonostante le strade ci abbiano portato fisicamente lontano.
Il primo anno vivevo in casa con il mio compagno di stanza e altri quattro ragazzi, mentre nell'appartamento di sotto vivevano altre quattro ragazze. I compagni di università erano soliti frequentare il nostro appartamento e avevamo spesso ospiti a cena. Mi piaceva quell'ambiente vivace e dinamico: trasmetteva voglia di vita.

Michele a venti anni nell’appartamento universitario
La mia quotidianità si alternava tra lezioni e libri, ai quali davo il giusto peso, e la vita mondana che la città offriva. All'inizio di ogni semestre decidevo quali lezioni seguire e quali no, per liberarmi del tempo prezioso.
In questi anni, frequentando anche persone dalla formazione più umanistica, iniziai a scoprire davvero i primi filosofi del passato: a partire da Socrate, Platone, Aristotele, e ancora Seneca, Marco Aurelio, Sant’Agostino, passando da Pico della Mirandola, fino ai più recenti Jean-Paul Sartre e Nietzsche. Quasi per gioco cominciai a leggerli anch'io, come per bilanciare la razionalità dei miei studi. I loro scritti mi affascinarono e vi trovai un'utilità che ancora oggi mi accompagna.
In questo periodo ci venne data l'occasione di svolgere parte degli studi all'estero. Tra le varie opzioni, catturò la mia attenzione la meta di Buenos Aires, Argentina. Pensai: “Quando mai mi ricapiterà di poter andare in questo luogo?” e feci domanda. All'alba del terzo anno partii alla volta della terra latina e ci restai poco più di quattro mesi.

Obelisco di Buenos Aires nella Plaza de la Republica
La città di Buenos Aires, con i suoi oltre tre milioni di abitanti, accoglie le genti di tutto il Sud America. Caratterizzata da immensi viali, molto verde e capolavori di architettura, qui vidi davvero la profondità del mondo: la ricchezza, la povertà, l’ostentazione, l'umiltà, la disperazione e la fede. La classe media sembrava inesistente: c'era chi aveva tanto e chi nulla. Conobbi persone di entrambe le parti e, se svestite e messe a confronto, non avrei saputo vedere differenze. Vi trovai ideali e pensieri simili, più affinità che divisioni.
Al mio ritorno, la comparsa della pandemia mutò gli equilibri. La vita si fermò per un istante per poi adattarsi e riprendere il suo corso. Molta era la paura derivante dall'incertezza, ed io, come tanti, mi rifugiai nelle porte della casa familiare.
Dolceamaro fu questo periodo: privandomi di istanti della mia giovinezza, mi diede però modo di passare più tempo con gli affetti, verso i quali dedicavo sempre meno pensieri, assorbito dall'intensità delle mie esperienze. In questo tempo mi immersi ancor di più negli scritti filosofici, divenuti ormai compagni che mi avrebbero sostenuto in momenti più bui.
E così, dopo un battito di ciglia - che poteva durare un secondo come un secolo - la vita tornò piano piano a risorgere, lasciandoci però profondamente cambiati.
Fu durante questo periodo che conseguii la mia prima laurea triennale e cominciai il percorso magistrale. Ma la vita a Bologna era diversa, portandosi ancora i residui della sventura passata. Trascorso un anno, decisi che era giunto il momento di effettuare un cambiamento.
Il Lavoro
A ventidue anni, con gli studi ancora in corso, decisi di avvicinarmi al mondo del lavoro. Mi piaceva l’idea di iniziare a guadagnare qualcosa per sostenermi autonomamente.
Ma quale strada, tra tutte le possibili, mi sarebbe piaciuto intraprendere? La risposta non era chiara, ma una cosa era certa: qualsiasi fosse stata la mia scelta, avrei voluto contribuire al bene delle persone, alla bellezza del creato e al progresso dell’uomo.
In particolare, ero affascinato dal mondo della moda e del design. Credevo profondamente nella creatività e nell’altissima manifattura italiana, che si è fatta strada nel mondo grazie alla sua maestria.
Superata l'estate, mi misi alla ricerca di un’opportunità che mi potesse aprire le porte a quel mondo che mi affascinava. Tramite un conoscente, sentii parlare molto bene di un’azienda bellunese, leader nel settore degli occhiali: EssilorLuxottica. Già familiare, in quanto oggetto di alcuni studi, decisi di candidarmi per uno stage. La risposta arrivò velocemente: dopo alcuni colloqui, fui assunto nella funzione Qualità di uno stabilimento che produceva lenti da vista, e così partii alla volta delle Dolomiti.

Stabilimento di EssilorLuxottica in Agordo (BL)
Descrivere l’atmosfera di quel luogo è complesso. Le alte montagne, i gelidi inverni, la tecnologia all'avanguardia, la dedizione al lavoro. Ero incredulo di trovarmi in un'azienda che, grazie alla visione di un uomo quale Leonardo Del Vecchio, aveva creato una realtà così straordinaria. Migliaia di dipendenti, per lo più provenienti da quelle terre, che a loro volta restituivano alla comunità l’impegno che essa aveva investito in loro. La simbiosi tra l'azienda e il territorio era palpabile, armonica.
Caro mi è il ricordo del mio capo, Luigino. Uomo di grande esperienza, dai modi severi ma dall'animo gentile. Lui vedeva in me un giovane alle prime armi e mi ha sempre dato il suo sostegno nei momenti difficili. Da parte mia, ricambiavo mettendo a frutto ciò che avevo imparato durante i miei studi.
Con i suoi oltre trent'anni di esperienza, Luigino mi ha insegnato cosa significano la dignità del lavoro, la fatica e il rispetto per le persone. Un episodio in particolare riecheggia nella mente: una mattina, alle 8:00, mi trovai a bere un caffè nella zona ristoro mentre la produzione era già iniziata. Venni per questo ripreso e sul momento non la presi molto bene. Mi sentii come sminuito, per via dei miei studi. Solo oggi comprendo la mia arroganza in tale pensiero e la mancanza di rispetto per il valore del lavoro delle persone intorno a me.
Da quella che doveva essere un’esperienza formativa, ci restai per circa due anni, durante i quali portai a termine i miei studi. Sebbene fossi soddisfatto nel lavoro, del rapporto con i colleghi, dell’esperienza che maturavo, non riuscii mai davvero ad adattarmi. La mia sfera personale non era appagata e la solitudine veniva mitigata solo dalla compagnia dei miei libri.
Iniziai perciò a guardarmi intorno e arrivò una proposta da Fendi, azienda di cui avevo sempre ammirato la storia e che incarnava molti dei valori a me cari: artigianalità, bellezza, territorio, famiglia. Così, mi trasferii a Firenze, nella culla del Rinascimento, dove risiedeva il nuovo stabilimento produttivo dell’azienda. Mi occupai della Qualità di gioielli, articoli per la casa, tessuti e occhiali.

Stabilimento di Fendi in Capannuccia (FI)
Purtroppo, non ci volle molto per rendermi conto che della grande azienda che era una volta, rimaneva ormai solo l'ombra. Io credo che, una volta ceduta, Fendi, come altre realtà, fosse diventata una macchina per generare profitti. Non affermo, con questa critica, che il profitto sia sbagliato, ma piuttosto concordo con la visione di un altro grande del settore quale Brunello Cucinelli, che parla di un "Capitalismo Umanistico", dove etica e dignità accompagnano la creazione di valore.
Come diceva Karl Lagerfeld: "Evolversi senza mai dimenticare chi si è: questa è la vera chiave del successo". Forse l'azienda che lo ha ospitato ha smarrito quella chiave.
In me nacque un malessere interiore e la consapevolezza che quello non fosse il luogo giusto in cui stare crebbe ogni giorno di più, ma piuttosto andare dove potevo costruire qualcosa di nuovo, di bello. Perché, come direbbe Nietzsche, “chi è perduto al mondo crea il proprio mondo”.
E così, proprio come Padre Pio, che da Pietrelcina si rifugiò a San Giovanni Rotondo per curare i suoi malanni, io feci ritorno a casa, per curare i miei.

Santuario di San Pio da Pietrelcina, progettato dall'architetto Renzo Piano
La Nascita Dell’Azienda
Il pensiero di un filo che intreccia il concetto di casa con mio nonno, che le costruisce, mio padre, che le progetta, ed io, che le arredo, mi ha sempre affascinato.
Il mio ritorno a casa fu piuttosto inaspettato in quanto deciso senza dare preavviso alla mia famiglia. Mi stabilì in un vecchio locale, che un tempo fu il negozio di alimentari di mia madre, e lo trasformai nel mio studio. Qui trascorrevo le mie giornate a disegnare, leggere, studiare. Avevo in mente cosa volevo fare, ma sentivo la necessità di mettere ordine nei miei pensieri, di districare il labirinto della mia mente.

Michele nel suo studio riconvertito
Ho sempre creduto che per realizzare un prodotto di altissima qualità sia essenziale comprendere ogni variabile che compone il puzzle: materiali, processi, persone. E per raggiungere quest’obiettivo, avevo bisogno di toccare con mano le materie prime e realizzare personalmente le mie idee. Così, mi recai in un’azienda di lavorazione del metallo, dove Matteo con suo figlio Giovanni portano avanti l’attività di famiglia. Chiesi di poter imparare il mestiere, e con grande generosità e altruismo accettarono la mia proposta. Così da ingegnere, mi feci fabbro.
Restai diverso tempo con loro, apprendendo le tecniche della lavorazione del metallo. Con dei materiali di scarto, mi cimentai nella realizzazione della mia prima sedia. Non mi vergogno a dire che impiegai ben 19 ore per completarla. Curavo ogni pezzo con la massima cura, facevo attenzione che tutto fosse della misura perfetta e che non vi fossero sbavature. La soddisfazione fu enorme, e oggi quella sedia rimane nel mio studio, simbolo di dedizione e passione.

La prima sedia
In quel periodo mi concessi anche una giusta dose di ozio, un elemento che considero fondamentale e a cui rivolgo pensieri di gratitudine. Credo che l'ozio, quando non scivola nell'indolenza ma è accompagnato dalla consapevolezza, diventa terreno fertile per la mente e lo spirito.
Non passò molto tempo prima che mi ritrovai a gestire il mio primo ordine, commissionatomi da un amico, Antonio, che mi chiese di realizzare quattro sedie per la sua agenzia assicurativa. Quanto mai vera è la frase di Epicuro: “Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un'esistenza felice, la più grande è l'amicizia”.
Ora, prendendo in prestito le parole di Pico della Mirandola nel suo Discorso sulla dignità dell’uomo, dico a voi: poiché ci si appresta a giudicare, non si contino gli anni dell’autore, ma piuttosto i meriti o i difetti della sua opera.
Mi faccio discepolo degli insegnamenti dei padri, tanto di quelli a me prossimi quanto dei grandi pensatori del passato, custodi del sapere e della conoscenza, nei quali trovo con gioia risposte alle mie domande.
Credo in un futuro in cui la dignità del lavoro e il saper fare generino mondi nuovi, mondi belli, autenticamente in armonia tra uomo e creato, in cui il concetto di giusto sia la misura di tutte le cose. E con essi, nuovi valori per nuovi mondi.